di A. M. Baratto
IL SILENZIO, questo timido diniego, questa tacita protesta contro le opinioni bene accette alla folla.
(W. M. Thackeray, La fiera delle vanità)
E’ silenzio l’opera di Marinelli, un silenzio duro, sconcertante, che sigilla la mente. Costringe alla riflessione, marcando la memoria. La sua memoria s’inserisce nella nostra memoria con un potere evocativo archetipale che scardina le porte della percezione. Non c’è racconto affabulatorio nelle immagini prodotte per questa mostra. Come d’altronde non ce n’era in altre due mostre precedenti che ho avuto il piacere di visitare. In “Facets” il Baby-Hamlet, piccolo, misterioso assemblaggio sognante nei suoi toni lunari, bimbo-fantoccio sospeso tra il non essere e l’essere.
In “Visions”, rapsodia muta di corpi - e solo corpi - morbidi e parcellizzati, celebrati nel rigore bianconero della foto d’autore, personaggi acefali di un coro straziato, urla di solitudine inascoltata.
Oggi, in questa ultima personale romana, “Interiors”, l’autrice sembra voler evocare ancora il suo connaturato silenzio attraverso una serie di opere inedite dalla doppia struttura spaziale, annullando quella solidità monolitica della costruzione che già le riconoscevamo.
Da fondi grumosi di colore disposti con rapida gestualità, emergono faticosamente sguardi che appartengono ad un altro Spazio, forse ad un altro Tempo: sono gli amati prigionieri della memoria. L’incruenta destrutturazione annulla così la visione soggettiva e monotributaria della realtà, per rifugiarsi su di un borderline in bilico tra sogno, evocazione e forse finzione.
La finzione del teatrante - ed in effetti Marinelli si occupa di regia teatrale ed altro ancora in quell’ambito - che cerca la propria e l’altrui catarsi attraverso il sottile gioco delle piane emozioni. Marinelli che costruisce le sue maschere come silenzi, incubi e sogni e che a volte sembra chiedere alla sua anima il perchè della tristezza. La sua, la nostra, quella piacevole tristezza melanconica di cui non possiamo fare a meno. Ma in fondo in questa apparente - si badi bene solo apparente - passività, le sue sculture-maschere non sono che energici Fool, sciocchi e temerari funamboli su quel filo teso benevolmente tra l’Al di là e l’Al di qua. In fondo lo sapevamo, il vero silenzio, quello che copre ogni altro stridore umano, è quello dei Folli, ma anche quello dei Forti e la differenza è spesso invisibile.
INTERIORS Akka-Ba – Roma. Testo critico A. M. Baratto. Presentazione F. Bianco | 2005